
Huawei diventa il primo contributor del kernel Linux per numero di changeset (1434 nella release 5.10), e il secondo per numero di righe di codice (41049) subito dopo Intel.
La storia si fa mescolando, contaminando, riscrivendo, distruggendo. Abitiamo uno spazio popolato di segni che rimandano ad altri segni in un gioco di specchi (o in un grafo) vertiginosamente profondo, e manipolare, editare questi segni è il nostro modo di lasciare tracce. Il gesto che oblitera la storia è storia a sua volta: il miliziano che annienta il tempio di Baalshamin a Palmira, il contestatore che insanguina la statua di Colombo (à la Hermann Nitsch), il duce che a Roma smonta e rimonta i fori come un Lego e smonta definitivamente la Spina di Borgo sono tutti da questo punto di vista uguali, tutti agenti ideologicamente motivati che agiscono su segni a loro volta ideologicamente connotati, cioè su simboli. Non parliamo di furia iconoclasta, non parliamo di barbari: parliamo di CTRL + C, CTRL + V, CTRL + X. Poi c’è la musealizzazione, ma quella tenetevela pure. A me i simboli interessano in quanto non “in sola lettura”, non eternamente uguali a sé stessi: guardate che pure Cesare Brandi parla di una ricreazione o riconoscimento, senza il quale l’opera d’arte (lui pensava all’arte, d’accordo: ma vale a prescindere) è opera d’arte solo potenzialmente, cioè “non esiste che in quanto sussiste”.
Certo, tutto va contestualizzato, ma se un Montanelli da ufficialotto di regime poteva apprezzare le gioie del madamato e trent’anni dopo rivendicarlo comunque come goliardata giustificata dal contesto di allora e con tutto un ricamo di sottintesi sui propri appetiti erotici e sulla scarsa partecipazione della bambina, forte della rete di protezione ammiccamenti e implicito consenso offerta da un Paese tuttora patriarcale, ebbene, mi aspetto che il contesto mutato dovrebbe rendergli del tutto comprensibili, se vivesse ancora, anche le “attenzioni” verso la sua effigie e la rivalutazione tout court della sua figura. Nessun giudizio moraleggiante da parte mia, ma semplicemente un modo di restituire contestualizzazione per contestualizzazione. Una statua distrutta o una statua riscritta sono transiti, sono la storia che avviene: molto meglio che la noia di pezzi da museo coperti di polvere o di guano. E meglio ancora se la cosa ci offende.
Tutto questo, però, ha un che di outdated, di reazionario. Continuiamo a prendere di mira segni puramente fisici, artefatti di un universo cognitivo ormai superato. Quando la nostra capacità di editing avrà iniziato a filtrare oltre il vecchio mondo fisico ne vedremo delle belle. Il digitale ha una sua peculiarità: è riflessivo, come scrive Luciano Floridi o come i programmatori chiamano i loro linguaggi, cioè riesce a parlare di sé, a essere referente e segno nello stesso tempo. Quindi le possibilità di editing sono al di là di ogni immaginazione. Ma come si cancella o come si riscrive una traccia digitale? Il guaio è che la memoria digitale, per un verso più fragile di quella fisica, è però “riprodotta” (direbbe Benjamin) talmente tante volte, e i link tra i segni possono essere resi così intrinsecamente inscindibili dai segni stessi, che la fragilità diventa piuttosto una forma di viscosità. E se in onore di Montanelli o di “Columbus” o di Churchill non avessimo eretto statue ma eseguito transazioni bitcoin (magari da un vanity address), quindi tracce scritte in modo immutabile dentro strutture dati che abbracciano il globo, come avremmo fatto a editarle?
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